17
Lug

Guardare fiduciosi al futuro

Le crisi alimentano una sorta di entusiasmo per il passato, un apprezzare le tendenze retrò, a volte anche nel semplice pensare.

Retrò è l’inclinazione a progettare gli oggetti di uso quotidiano, i contenuti artistici e persino  la politica o i temi politici in modo da riportare dal passato, la moda e il modus di altri tempi, decontestualizzandone motivi e inserendo il tutto a confronto con il presente.

Ciò che è rimasto nella memoria, riappare; condensato come un best-off. Inconfondibile, riciclabile.

Ma nel labirinto „vintage“ di questa terribile legislatura, i 5Stelle hanno stabilito un nuovo record di salto all’indietro, in un passaggio che poco ha a che vedere con il nuovo di cui il movimento si é sempre fatto portabandiera.

Sicuramente i non più giovanissimi di noi, ricordano la „non sfiducia“,

quell’espediente parlamentare, al limite del lecito, che nel 1976 consentì la nascita del terzo governo Andreotti, mentre per trovare analogia alla „non fiducia“ pentastellata di questi giorni, bisogna andare al 1987: allora la DC si astenne dal voto sul governo di cui faceva parte!

Scavare la fossa al governo e lasciarlo però in vita non è possibile. Il cordone ombelicale delle democrazie parlamentari è la fiducia e un governo rimane in carica se ha, appunto, la fiducia del Parlamento. Se chi al momento della sua costituzione l’ha data poi la ritira – che siano motivi personali del leader politico o ideologia politica partitica poco importa – quel governo non esiste più. Punto.

Stupisce veramente la scelta dei 5Stelle ad aprire la crisi di governo?

Un movimento prima-partito poi – che ha vinto le elezioni nel 2018 in nome dell’anti politica, un movimento-partito nato dalla protesta, contro tutto e tutti- incluso se stesso – ha registrato la drammatica perdita di consensi e toglie il disturbo ( o forse non del tutto) e già da ora o  tra qualche mese, dagli scranni dell’opposizione, potrà dedicarsi – in rinnovata lotta contro la casta – fino alle nuove elezioni, all’attività in cui è decisamente molto versato: agitazione demagogica.

Poi ci sarebbero gli interessi del Paese, ma questo è per loro un’altra faccenda.

Tra le più gravi ricadute interne della crisi c’è il destino dei fondi del Pnrr ( sperando che non siano già compromessi) una irripetibile occasione per rilanciare lo sviluppo del Paese. Occasione questa, che questo tiremmolla, questa competizione tra i partiti ormai fuori controllo e non gestibili da Draghi, potrebbe andare  sprecata in modo ingiustificabile. 

Però si, lo sganciamento dal governo è dal punto di vista dei 5Stelle una priorità, una necessità.

E tutto accade mentre è in corso una guerra in Europa, la recessione economica in agguato, e la pandemia perdura con previsioni non certo rassicuranti. In questo panorama convincere Draghi – che evidentemente ne ha le tasche piene dei giochini di alcuni alleati così come delle convulsioni dei grillini – è un’impresa eroica se non impossibile. 

Accettare le responsabilità del proprio ruolo è un dovere della classe politica. Draghi questo lo sa  e sa bene che il re è nudo e che questa volta non può ignorare quanto sta accadendo, ossia che la stessa classe politica preferisce pensare solo a se stessa  e dimentica, trascura gli interessi del Paese.

In queste condizioni è impossibile proseguire una seria, responsabile azione di governo. Le dimissioni di Mario Draghi congelate fino a mercoledì prossimo, giorno in cui il premier parlerà alle Camere e spiegherà, con la sua consueta chiarezza, perché in queste condizioni è impossibile  proseguire una seria azione di governo. Subito dopo salirà al Colle a dimettersi e visto che non c’è mai stato un voto di sfiducia, il Presidente Mattarella respingerà le dimissioni, sarà costretto a sciogliere le Camere e Draghi resterà in carica fino alla nomina del successore.

Chi bussa disperatamente alla porta di Mario Draghi per cercare di convincerlo a tornare sui suoi passi, si sentirà risponde „potevate pensarci prima“ o simili Una certa disinvoltura  al guardare al passato, un retrò di pensiero che ha a che fare con il malcontento per il presente. Anche per questo c’è, al momento, un che di  entusiasmo. Certo, in questo momento storico accadono molte cose che spingono a rimpiangere i tempi in cui la pace in Europa sembrava ancora scontata, e le calde estati non erano di cattivo auspicio.

 Ci sono, obiettivamente, situazioni che ti portano a pensare che in passato tutto fosse migliore. Ma questo, ovviamente, non aiuta perché il pensiero retrò è in sostanza stanco. Si muove lungo percorsi noti e ne piange le perdite. Ma soprattutto in momenti deprimenti, angoscianti come quelli attuali, aiuta a liberarsi dalla nostalgia e a concentrarsi su ciò che può essere buono in un mondo cambiato che non è più quello del passato.

 Senza ingenuità, ma fiduciosi nel futuro.

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